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After Work streaming

After Work

After Work streaming ITA altadefinizione


Come sarà la vita nell'era del post-lavoro? Cioè: quando l'umanità avrà automatizzato così tanti processi da rendere inessenziale la prestazione lavorativa, l'uomo come impiegherà quel "tempo libero"? È pronto ad affrontare una routine in cui il tempo lavorativo sarà quanto meno ridimensionato? Sarà in grado di abituarsi e di conferirgli un valore per l'individuo e per la società? After Work cita come principale riferimento gli scritti del sociologo svedese Ronald Paulsen (inediti in Italia) e raccoglie le testimonianze di lavoratori molto diversi tra loro, in una ricognizione libera ed episodica tra Corea del Sud, Italia, Stati Uniti e Kuwait.

Ogni voce, anche la più inaspettata, contribuisce a riflettere sulle cause culturali e storiche dell'attaccamento al tempo del lavoro: un monte orario sottratto alla vita relazionale, stabilito dalla rivoluzione industriale e poi non più messo in discussione ma introiettato acriticamente nelle esistenze. Considerato inattaccabile, indiscutibile. A volte coincidente con la stessa ragione del vivere.

Una figlia coreana sottolinea quanto il padre abbia sacrificato la propria vita al lavoro, negandola a sé stesso e ai propri cari, identificandosi in esso. Un ereditiere italiano di villa storica con parco dichiara con orgoglio la scelta di occuparsi come giardiniere. Uno speaker e formatore statunitense per le aziende tiene lezioni per conto del Center for Work Ethic Development, evidenziando quanto nel suo Paese i lavoratori rinuncino alle ferie, differentemente dagli italiani. Una filosofa dell'Università del Michigan illustra la devozione al lavoro come una forma di dipendenza (performative workaholism) e individua nell'etica calvinista il senso di colpa ancor oggi provato rispetto al tempo non occupato. Una rappresentante del governo coreano indica le politiche messe in atto per persuadere i lavoratori a interrompersi a un certo orario.

Un manager di una società di sondaggi porta dei dati impietosi: i lavoratori emotivamente "connessi", ossia motivati e coinvolti nella propria occupazione, sono il 15% del totale. Un'autista che fa le consegne con il furgone mette in luce le storture del controllo sui suoi tempi, operato dal noto colosso americano per cui lavora. Un dipendente del governo del ricchissimo Kuwait denuncia la frustrazione di percepire uno stipendio senza avere mansioni da svolgere, perché così è stato deciso per legge. Una coppia di benestanti italiani si confronta sull'idea di passione per la vita attiva anche dalla loro posizione di privilegio. Un giovane coreano è malato e infelice come i propri genitori, schiacciati dal "lavorare per vivere".

L'ultimo film di Erik Gandini (noto da noi soprattutto per Videocracy - Basta apparire, il documentario del 2009 in cui fotografava un'Italia berlusconiana, edonista, appiattita sullo status symbol della fama mediatica) si apre con una citazione da Aristotele sugli spartani. Popolo che non sarebbe stato capace di mantenere il proprio governo, dopo la guerra, perché non abituato a una vita di "pace". Cioè di ozio, di tempo libero, di non lavoro. Tempo che si potrebbe finalmente dedicare alla propria crescita intellettuale, alle relazioni, alla creatività. È il punto di partenza di un dibattito, innescato da proiezioni sul futuro prossimo degli occupati nell'era di ChatGPT e intelligenze artificiali: che sia realmente arrivato il momento storico di "demolire" il mito del tempo lavorativo, di prendere atto del suo declino e di elaborare strategie di cambiamento?
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